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Astrologia, Scienza e Arte Interpretativa
12 Novembre 2016 @ 18:30 - 20:00

LA RAGIONE DI UNA SCELTA ovvero
LA SCELTA DELLA RAGIONE
a cura di Giancarlo Ufficiale
c’era una svolta…
Alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, quando iniziai ad occuparmene, dell’astrologia circolavano testi e sostenitori indissolubilmente avvinti ad un paio di scuole:
1) la dottrina divulgata a partire dalla fine del XIX secolo da Alan Leo e poi via via aggiornata ed integrata da M.E. Jones, Rudhyar e via via degenerando;
2) quella proposta dalla scuola francese, di cui i fratelli Barbault furono e sono i migliori rappresentanti.
Fondamento comune è dato dal significato esclusivamente simbolico di astri, Segni e Case, poggiandolo prevalentemente sulla teoria dell’inconscio collettivo, degli archetipi e del simbolo elaborata, com’è noto, da Carl Gustav Jung.
Provenendo da una formazione freudiana quest’enfasi sul simbolo, sugli archetipi, sulla sincronicità (tutti concetti peraltro quasi sempre mal intesi dagli astrologi che se ne servivano e se ne servono a man bassa) per non dire sulla mitologia (o meglio, su una parte minoritaria della mitologia greca) mi impacciavano non poco. L’uomo è certamente un essere simbolizzante, la simbolizzazione è una delle funzioni dell’inconscio, ma essa coinvolge prevalentemente il materiale dell’esperienza quotidiana e dunque non soltanto le categorie isolate dal pur geniale Jung. E d’altra parte per quanto l’esperienza di osservazione del cielo da parte dell’essere umano si sia stratificata nei millenni entrando così a far parte della conoscenza innata, non m’è mai riuscito di capire come faccia l’inconscio a sapere che Marte sta a 12° Sagittario in moto retrogrado anziché a 26° Pesci in moto diretto. Non lo capì in tutta onestà neppure Jung, che infatti ricorse alla famosa teoria della sincronicità (elaborata unitamente al fisico W. Pauli) per spiegare tanto i fenomeni paranormali quanto gli effetti astrali. Solo che, avvertiva, si tratta di una spiegazione provvisoria, in attesa di altre più scientificamente basate. Avvertimento puntualmente ignorato dagli astrologi.
Pensa che ti ripensa mi convincevo un poco alla volta che dovesse esistere un influsso diretto degli astri sulle umane vicende. Inoltre non potevano sfuggirmi altre contraddizioni della dottrina (chiamiamola così) contemporanea:
- a) gli autori che meritoriamente si occupavano non solo di genetliaca, ma degli eventi storici, epidemiologici, finanziari, dell’andamento meteorologico, dei terremoti e di altre catastrofi si guardavano bene dall’invocare gli effetti simbolici di pianeti e Segni atti a spiegarli o comunque a giustificarli;
- b) pochissimi autori si servivano delle stelle e delle Costellazioni che esse formano. Quasi tutti ne facevano a meno asserendo con cattedratica gravità che le stelle sono troppo lontane per produrre effetti qui sulla Terra. Ma come! Prima mi declamate che gli astri non influiscono come corpi fisici ma soltanto attraverso i simboli che assumono in sé (e allora daije ggiù co’ li miti!) e poi mi sibilate che le stelle sono troppo lontane? Come se poi su di esse l’uomo non avesse elaborato una messe di miti (e quindi simboli)? E tutto il simbolismo che avvolgerebbe i Segni dello Zodiaco non passa direttamente per via osmotica da quello delle omonime Costellazioni?
…e qui comincia l’avventura
Iniziai così a studiare un po’ di astronomia geocentrica. Pensavo comunque di esser ancora “tra color che son sospesi” quando mi accorsi, nella seconda metà degli anni ’80 (beh, sì, sono un po’ lento…) che inconsapevolmente avevo scelto da che parte stare. Senza pensarci su troppo, infatti, decisi di eliminare Plutone dalle mie analisi astrologiche, in quanto corpo troppo piccolo e troppo lontano, per non dire dell’ellitticità della sua orbita, che spesso lo porta assai lontano dal suo grado eclittico. E questo, appunto, significava l’abbandono della via simbolista ed archetipica. Nondimeno ero disorientato perché non avevo idea del perché l’astrologia, sebbene entro certi limiti, funzionasse.
Poi l’incontro illuminante, nel vero senso del termine: quello con Giuseppe Bezza. Certo, avevo letto in precedenza il Tetrabiblos di Claudio Tolemeo, ma in pratica non ne avevo capito niente. Giuseppe ci spiegò in quel primo seminario che gli astri hanno effetto non in quanto corpi planetari di per sé, ma in virtù della loro luce che percepiamo qui sulla Terra, soggetta a variazioni in quantità e parzialmente in qualità a causa dei loro moti. Dunque, per tutta la tradizione astrologica fino alla prima metà del XIX secolo, esiste un effetto fisico degli astri provocato dal loro flusso luminoso. Finalmente avevo reperito il perché; eh già, in fin dei conti in un certo senso si può dire che io sia un uomo greco (antico): essendo colui che non sa mi pongo nel registro del non sapere, e non sapendo metto a confronto le teorie in cui mi imbatto scegliendo quella che mi convince maggiormente o comunque estraendo ciò che mi sembra più persuasivo da alcune di esse. In attesa di trovarne altre di migliori ed eventualmente modificare le mie convinzioni. Che, dunque, restano sempre temporanee e relative.
Dunque, la luce. Ossìa i fotoni, l’energia elettromagnetica spiegata da James C. Maxwell nella seconda metà del XIX secolo. Più precisamente: il 97% della luce delle stelle è costituito da fotoni, il 3% da neutrini. Il 100% invece di quella riflessa da Luna e dai pianeti del sistema solare. I fotoni, uno dei 4 bosoni del mondo subatomico, nati (se così posso esprimermi) all’incirca durante il primo secondo del big bang subito dopo i quarks (e gli antiquarks), le particelle più antiche e più minuscole. I mattoni della vita, come li ha definiti qualcuno. Tutto è energia, noi stessi siamo energia. Il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia ha dimostrato che per una parte di materia, o meglio, per ogni nucleone (massa superconcentrata) vi sono quasi 800 milioni di parti di fotoni. I fotoni, quelli che riceviamo direttamente dal Sole e dalle altre stelle, non generano soltanto la luce a noi percepibile, ma anche le onde radio, i raggi infrarossi, i raggi ultravioletti, i raggi gamma, i raggi X. Tutti indispensabili, appunto, alla vita.
Nel IX secolo d.C. quel genio di al–Kindi nel suo trattato De radiis scrisse che non solo gli astri emanano raggi, ma anche tutti i corpi viventi, e proprio la connessione (l’intreccio, oserei dire) degli uni con gli altri causa quello che noi appunto chiamiamo influsso astrale, celeste o cosmico che dir si voglia. Altra intuizione straordinaria, a ben pensarci. Perché è vero che noi, gli animali e le piante emettiamo fotoni – e secondo alcuni anche i corpi inorganici –, vale a dire i ”raggi” di al–Kindi. Non li emettiamo spontaneamente, anche se così potrebbe sembrare, ma attraverso questo meccanismo (chiamiamolo così): un fotone eccita un elettrone di un atomo qualsiasi, l’elettrone automaticamente si posiziona su un altro orbitale dell’atomo, dopodiché terminato lo stato di eccitazione per ristabilire l’equilibrio originario dell’atomo stesso ritorna all’orbitale precedente, generando così a sua volta un fotone. Succede ogni momento. Tutte le funzioni cellulari del nostro organismo sono comandate dalle interazioni elettromagnetiche.
Dunque siamo interdipendenti con il cosmo. Tant’è vero che ogni essere vivente cerca la luce, ossìa i fotoni. Ad esempio con le piante condividiamo un gruppo di cellule primordiali, il cui “motore” è costituito da una proteina denominata opsina, le quali inseguono letteralmente la luce. Se mettiamo una pianta dentro una scatola bucata da un lato, dopo un po’ di tempo noteremo che i suoi rami si volgono verso questo buco. Nell’essere umano siffatto gruppo di cellule è stato scoperto alla fine del 2005 sopra la giunzione dei due nervi ottici. Gli scienziati lo hanno immantinente chiamato “terzo occhio”, da non confondersi con la ghiandola pineale, così definita da René Descartes al tempo della sua scoperta. Questo gruppo di cellule non consente di trasformare in immagini i fotoni che cerca e riceve (compito che spetta ai bastoncelli), ma favorisce l’orientamento. Non casualmente coloro che son privi della vista hanno necessariamente sviluppato questa facoltà, oltre a quelle degli altri sensi.
Quel che mi sorprese e continua a sorprendermi fu l’irridente obiezione di una pur grande scienziata e ancor più grande donna nei confronti dell’astrologia, Margherita Hack: è ridicolo pensare che l’astrologia abbia un fondamento, scrisse più o meno, poiché se raccogliamo tutte le luci degli astri in cielo, la somma della loro energia sarà comunque inferiore a quella della lampada utilizzata in sala parto. Il che, si capisce, è verissimo. Ma quel che lei tacque – non certo per ignoranza – fu che il mondo subatomico funziona con energie ultradeboli. Da astrofisica non poteva non saperlo: se lo so io che ho un diploma in ragioneria (peraltro strappato a stento) vuoi che lei lo ignorasse, dato che proprio il funzionamento delle stelle e di tutto l’universo poggia sulle interazioni quantistiche delle particelle? D’altra parte, l’abbiamo visto, il funzionamento del nostro stesso corpo è un laboratorio, per così dire, di attività quantistiche suscitate dalle varie particelle subatomiche. Altrimenti non si spiegherebbe perché al nostro cervello servano solamente poco più di 15 watt per funzionare, al fegato 27, al cuore meno di 7. L’abbiamo discusso prima: un fotone colpisce un elettrone e dopo un po’ questi genera un altro fotone. È così che funzionano le cose in noi, ma anche nel Sole e nelle altre stelle. In sintesi: bastano pochi fotoni per provocare una reazione nei corpi viventi.
Molto altro si potrebbe e si dovrebbe dire su questo argomento, ma per quel che mi preme comunicare tanto basti.
guardando avanti
Da tutto ciò ne ricavo che la tradizione astrologica, il suo corpo teoretico, sono straordinariamente attuali. Altro che archeologia come fu detto anni fa e come qua e là si sente ancora ripetere, altro che immobilismo, ingessatura ai dogmi degli antichi.
E tuttavia acquisito quanto precede, non è che ci si può né ci si deve accontentare. La tradizione non si ferma, così come non si fermano le arti e le scienze. Ci sono lacune, crepe, fenditure, incrinature anche nel nostro edificio. Non intendo qui proporne un elenco. Accennerò soltanto ad un presupposto basilare dell’arte: gli effetti celesti non sono dati soltanto dal flusso luminoso degli astri. L’interrogativo se lo posero alcuni astrologi inglesi nel XVII secolo: oltre alla luce deve esistere un’emanazione propria dei corpi celesti. Non trovarono risposta e lasciarono perdere. Né chi venne dopo di loro riprese la disputa, perlomeno nei termini fisici in cui quelli la posero. Peccato. Peccato perché proprio nel XVII secolo e proprio in Gran Bretagna si stava confezionando la risposta – destinata giustamente a rivoluzionare la fisica del tempo – ad opera dei due geni dell’epoca, Robert Hooke e Isaac Newton (protagonisti di feroci battaglie tra loro): la teoria gravitazionale, poi ricordata dai posteri soltanto con il nome del secondo personaggio. Essa è nota a chiunque, e non richiede qui perciò spiegazione. Quel che mi preme sottolineare è che risulta ormai provato che tutti i pianeti (fino a Nettuno, tanto per non equivocare) con le proprie forze gravitazionali alterano in un modo sensibile non soltanto l’attività del Sole influendo su alcuni suoi cicli, ma producono variazioni direttamente sul campo geomagnetico della Terra. Variazioni che sono misurate giornalmente e che vedono i loro picchi in più o in meno quando sono rispettivamente in opposizione e in congiunzione al Sole (guarda caso…).
Purtroppo coloro che si dichiarano seguaci della tradizione, in buona fede o meno che siano, non vogliono accogliere questa verità. Suppongo per il fatto che accettandola si dovrebbero iniziare a risolvere dei gravi problemi teorici. Ne elenco soltanto due: accogliere tra i pianeti che producono effetti anche i due giganti gassosi Urano e Nettuno (con tutto quel che ne consegue, ad iniziare dalle fasi eliache), e stabilire una sorta di scala di valori relativa alla forza di ogni pianeta. Giove, essendo di gran lunga il pianeta più grande e quello dotato di conseguenza di maggior potenza gravitazionale, starebbe in cima a questa scala, seguìto da Saturno e/o da Venere (questa per la maggiore vicinanza alla Terra). Problema su cui da anni sta lavorando, insieme alle sue statistiche, quella sorta di eroe solitario che risponde al nome di Gabriele Ruscelli, astrologo praticamente ai margini del nostro microcosmo, ma che intrepidamente ancora non ha ceduto allo sconforto.
Ecco, su questioni come questa dovremmo, noi astrologi, assumere la mentalità degli scienziati. Quando si manifesta un problema l’astrologo lo risolve (si fa per dire) ignorandolo e ponendogli a schermo altri falsi problemi, lo scienziato invece ci si butta a capofitto, e non lo abbandona finché non lo ha risolto o reperisce tracce utili per la soluzione. Se così non ci conduciamo anche noi, duole dirlo, difficilmente avremo uno sviluppo ed un progresso nella conoscenza e, dunque, nel miglioramento delle nostre capacità giudicative.
Per stavolta basta così. Tornerò sopra questa (forse) ed altre questioni nei prossimi numeri, sempreché il Direttore sia benevolmente disposto a concedermi ancora asilo politico in queste pagine.
Tratto da www.astrolabs.it – quaderni astrologici numero 0, Autunno 2016