Atha Yoganusasanam

Affrontare il tema dell’interpretazione degli Yoga sutra di Patanjali è alquanto arduo, e pur essendo uno studioso di Yoga, mi sento di proporre una lettura senza la pretesa di dare un’interpretazione univoca di un tema così complesso. Tanto più che numerosissimi commentatori, molto più autorevoli di me, hanno scritto dei commentari molto approfonditi. Per questo, preferisco togliere piuttosto che aggiungere e rendere più semplice, senza semplificazioni, un approccio a questo testo. Si tratta di un’opera, datata intorno al 500 a.C., suddivisa in quattro capitoli (Pada) e circa 200 versetti (sutra) in totale, che indica meticolosamente, con precisione scientifica, i dettagli di un percorso sviluppatosi nell’India di qualche millennio fa. Un sentiero di sviluppo personale e di accesso a una dimensione spirituale attraverso l’esperienza diretta, l’osservazione, il silenzio, strumenti necessari per consolidare, anche razionalmente, una percezione innata e profonda che ogni essere umano porta con sé.
Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare Guido Sgaravatti, autore di un commentario di questo testo che vede un confronto con gli aspetti più profondi e con le elaborazioni più raffinate della psicologia occidentale.
L’apparente ermeticità dei Sutra in realtà non è altro che una necessità dì sintesi per la trasmissione orale di questa conoscenza antica, lo yoga reale (Raja Yoga). Alla base del Sutra, che veniva mandato a memoria, c’era un Sangha che riempiva di contenuto quella breve frase e un vissuto esperienziale diretto che radicava in quella sintesi immagini ed emozioni legate alla pratica. Ritengo che oggi, per noi, quel significato antico possa essere richiamato nella stessa modalità, consapevoli che, avendo un background culturale, sociale e religioso molto diverso, la nostra interpretazione sarà diversa da quella originale ma potrà essere altrettanto “autentica”.
Vediamo, ad esempio, il primo sutra: atha yoganusasanam. La traduzione che troveremo sarà, quasi univocamente, “Ed ora, l’insegnamento dello Yoga superiore”.
Ma questo indica, presumibilmente, che la platea che assiste a questa enunciazione abbia già una conoscenza acquisita di un percorso di Yoga, probabilmente di Hatha Yoga, che abbia sviluppato una capacità di concentrazione e di osservazione del proprio corpo e del proprio respiro. Il discepolo quindi è pronto ad approfondire il senso dello yoga. Ma la parola stessa, “Yoga“, ha il significato di “unione”, e quindi potremmo, coerentemente con il contenuto di tutto il testo, tradurre: … ed ora, l’insegnamento dell’unione con il proprio sé superiore”.
Questa potrebbe sembrare una sottigliezza, ma mi sembra utile considerarla anche per porre nella giusta prospettiva l’Hatha Yoga con il Raja Yoga. Non è cosa di poco conto, visto che illustrissimi maestri, del calibro di Vivekananda, hanno promosso lo yoga in Occidente facendo riferimento soltanto al Raja Yoga e relegando lo Hatha a una deviazione rivolta al corpo e che nulla aveva a che fare con lo spirito, e considerando che in Occidente si sia maggiormente sviluppata una visione ed una pratica dello Yoga come strumento di benessere psico-fisico.
L’interpretazione proposta per questo primo sutra, mette in relazione Hatha e Raja Yoga.
Come esplicitamente sostiene l’HathaYoga Pradipika, l’Hatha Yoga è la scala per ascendere al Raja Yoga e l’uno senza l’altro non possono esistere.
In ultima analisi potremmo concludere che, riconoscendo con l’Hatha Yoga la spiritualità del nostro corpo, avremo, con il Raja Yoga, l’accesso alla dimensione spirituale trascendente.
Detto in 4 parole, non è poco!